Il sole mette allegria, ma il sorriso si attenua se si osserva quanto è diversa la pelle che non prende quasi mai sole da quella delle zone esposte tutto l’anno, come viso, mani e décolleté.

I benefici del sole sono ben noti a tutti: fa bene e ci fa sentire bene. Basta pensare al buonumore che porta sempre l’inizio della bella stagione o all’allegria che mette una giornata assolata in un grigio inverno. L’abbronzatura dà un’aria sana, fa sentire più in forma e anche più seducenti, ma è pur sempre la risposta fisiologica a un’aggressione ambientale. Da una certa età in poi, infatti, la differenza tra le aree cutanee esposte tutto l’anno ai raggi solari (come viso, collo, decollété e mani) e quelle più riparate diventa evidente: rughe, macchie scure, minor tono ed elasticità caratterizzano le più esposte.

Oggi conosciamo bene, anche se non completamente, gli effetti indesiderati del sole e i molti meccanismi patogenetici innescati dalla radiazione solare che, soprattutto tramite la sua porzione ultravioletta, danneggia le cellule cutanee. Questa frazione dello spettro solare è quella dotata di maggiore energia e per questo è la parte più pericolosa della sua luce.

Soltanto una parte della radiazione Uv giunge sulla terra e viene suddivisa nelle frazioni A e B, mentre nella stratosfera l’ozono trattiene la sua parte più corta e dannosa, Uvc.

L’Uvb è la radiazione che ci scotta e che danneggia di più l’epidermide, ma il fotoinvecchiamento è causato soprattutto dall’Uva che, seppur meno dotato di energia dell’Uvb, è il più abbondante nella luce solare e, per le sue caratteristiche elettro-magnetiche, penetra meglio nell’atmosfera, anche nei giorni nuvolosi e più in profondità dell’Uvb anche nella pelle.